Questa domenica cade nel bel mezzo dell’annuale Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che a sua volta si colloca nell’Anno della fede. Queste coincidenze conferiscono alla festa odierna una valenza particolare: invitano per esempio a riflettere sulla fede che insieme si professa nel corso della Messa, confrontata con quella dei “fratelli separati” (ortodossi, anglicani, valdesi, protestanti delle varie denominazioni). Per secoli si è battuto e ribattuto su quello che ci separa; da qualche tempo invece si preferisce mettere in evidenza quello che ci accomuna, scoprendo con gioia che è molto, molto di più. Siamo tutti cristiani, e lo siamo perché condividiamo non solo i capisaldi dottrinali del cristianesimo (Dio Uno e Trino; Gesù vero Dio e vero uomo, redentore di tutti; il battesimo; la vita eterna; la Bibbia quale Parola di Dio: eccetera) ma anche, nei suoi tratti basilari, lo stile di vita che ci dovrebbe caratterizzare, derivante dal precetto dell’amore per Dio e per il prossimo. Riconoscere reciprocamente quanto c’è di bello e di buono nel modo di vivere la fede promuove la piena unità e già ora rende gloria a Dio, perché lo riconosce Autore di ogni bene, come richiama la seconda lettura (Corinzi 12,4-11): “Fratelli, vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti”. Il vangelo odierno (Giovanni 2,1-11) torna, come già nelle due scorse domeniche, a celebrare l’Epifania, cioè il fatto che Gesù si manifesta per come è e non solo per come appare. Con una singolarità: questa Epifania è stata, per così dire, un “fuori programma”. Si tratta del
primo miracolo compiuto da Gesù nel corso del suo ministero pubblico: invitato con sua madre e alcuni discepoli a un matrimonio nel villaggio di Cana, egli non disdegna di mantenere viva la festa cambiando l’acqua nel vino venuto a mancare.